Com’è nato il viaggio?
Classica sera di ozio creativo: io spiaggiato sul divano, “Bones” degli Imagine Dragons in sottofondo, e quel momento in cui capisci che scrollare TikTok non ti renderà una persona migliore… ma almeno guardare un volo a caso forse sì.
Apro Wizzair e decido di mettere alla prova l’universo: “destinazioni assurde”, prezzo “ridicolo”. Boom. Roma–Baku: andata e ritorno a circa 60 euro.
Il dito scivola, la carta piange di gioia, in 15 minuti ho trovato volo + hotel: 150 euro per 3 giorni, 7–10 marzo 2025. La prenotazione praticamente si è autocompilata.
Piccolo dettaglio: con Veronica non stavamo ancora insieme. Ci siamo messi ufficialmente una settimana dopo.
Qualche giorno più tardi le dico:
“Ho prenotato per Baku a marzo, ti va di venire?”
Lei, non sapendo se “Baku” fosse un dolce siciliano, una città, uno Stato o un pianeta della Marvel, risponde: “Sì!”
Le domande sono arrivate dopo. Tipo: “Ma dov’è Baku?”, “Si mangia?”, “Serve la giacca?”
Io: “Sì, sì e… decisamente sì.”
E niente, da quel click impulsivo siamo finiti a organizzare il nostro primo viaggio fuori Europa da neo-coppietta. Iniziato per noia, abbiamo continuato per curiosità… e da qualche parte tra la conferma della prenotazione e Google Maps, mi sono innamorato.
1° Giorno – Un tour nei dintorni
Si parte in 4, noi e un’altra coppia di amici. Essendo più freschi, il primo giorno decidiamo di fare un tour nei dintorni di Baku e di dedicare gli altri 2 alla città.
Viene a prenderci sotto l’hotel un ragazzo azero, Azaj, che parla un discreto italiano, anche se la sua lingua preferita è lo spagnolo.
Mentre procediamo verso la prima tappa, la Moschea Bibi-Heybat, ci racconta un po’ di storia moderna Azera. Baku è stata contesa negli anni tra Safavidi (popolo iraniano) e Ottomani (popolo turco), fino a passare stabilmente sotto l’Impero russo nel XIX secolo.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento Baku esplose come capitale globale del petrolio. Facile da verificare, lungo la strada, arida e deserta, si susseguono pompe per pozzi petrolifere di tutte le dimensioni.
Dopodiché nel XX secolo diventa per un breve periodo Repubblica Democratica dell’Azerbaigian (1918–1920) per poi essere annessa all’URSS, fino ad ottenere l’indipendenza nel 1991.
Lungo la strada dal centro di Baku alla moschea il paesaggio è vario. Si passa da un lungo mare turistico e ricco, pulito e curato con grattacieli all’orizzonte, a periferie che ricordano le lande deserte del Texas che tutti immaginiamo. Ma l’attaccamento alla patria si vede, sulle finestre delle case, nei cartelloni pubblicitari, sui muri, è facile trovare la bandiera azera. Domina sul mare la Piazza della bandiera statale, un asta di 162 metri (la seconda più alta al mondo, dopo quella del Tagikistan) che tiene una bandiera di 70×35 metri (la più grande issata al mondo).
Arriviamo alla Moschea Bibi-Heybat, un edificio medievale distrutto dall’Unione Sovietica nel 1936 durante le campagne antireligiose e ricostruito nel 1990. Da fuori è un posto umilissimo, probabilmente un classico turista non gli darebbe nemmeno tanta importanza. Un edificio non tanto alto, di colore beige chiaro, 3 semplici colonne piccoline e 2 “campanili”. Si nota giusto perché intorno non ci sta assolutamente nulla. La struttura è sicuramente molto bella ma onestamente non mi ha dato nessuna sensazione di wow. Però è sempre così, le cose più semplici fuori sono quelle che ti rimarranno nel cuore per sempre. Entriamo, e la mascella non riesce a stare attacca al resto della bocca


Come in ogni moschea, appena entrati vi è un piccolo androne con un mobile dove lasciare le scarpe. Scalzati ci avviciniamo alla porta d’entrata. La potenza del posto si percepisce all’istante, lì è sepolta Ukeyma Khanum, una discendente del Profeta Maometto. Anziani e giovani in ginocchio davanti la sua tomba sotto una cupola verde smeraldo.
Rimaniamo giusto il tempo di una foto per non disturbare le persone in preghiera. Qualche foto all’esterno vista mare e si riparte verso Qobustan.
Lungo la strada, il nulla: un paesaggio lunare interrotto solo da qualche pozzo petrolifero qua e là, baracchette e super-villoni con muri di cinta chilometrici. L’Azerbaigian è così: c’è una forte disparità economica. Si passa dai grandi imprenditori a chi è costretto a fare più lavori per provare ad arrivare a fine mese.

Dopo mezz’ora arriviamo a Qobustan, sito UNESCO con migliaia di incisioni rupestri (caccia, danze, barche) dal Paleolitico all’Età del Ferro. Un percorso a piedi di qualche chilometro che ti riporta indietro nel tempo. Pensare che fino a 12.000 anni fa si vivesse in grotte riscaldate da semplici focolari fa impressione. E quello che ci è arrivato oggi sono segni essenziali, disegni incisi nella roccia.
Poco dopo ci aspetta un signore baffuto con una vecchia Panda arancione. Saliamo dietro, cinture allacciate, e via: parte a tutta velocità tra le dune di questo paesaggio lunare.
Ogni curva è una sgommata, una risatina, e il suo immancabile e vago italiano maccheronico «Io come Schumacher!». L’obiettivo è chiaro fin dal principio, farci divertire e mancia alla fine del tragitto.
10 km di rally estremo con una Panda truccata: 70–90 all’ora tra dossi e cunette da 30 cm, in mezzo al nulla, dritti verso i vulcani di fango. Il posto è surreale: coni di terra che ribollono a bassa temperatura, pieni di gas, come pentole a pressione della natura.
Spunta un local. Si avvicina a un mini vulcano, posiziona un paio di mattonelle per ripararlo dal vento, tira fuori l’accendino e la fiamma prende. Impressionante. Là sotto il gas esce senza sosta, ventiquattr’ore su ventiquattro. Da non crederci.
Torniamo al pulmino, mancia a Shumi e si riparte per il tempio Ateshgah Zoroastrian.

Prima di entrare ci fermiamo per il pranzo in un ristorantino li a due passi. Atmosfera tradizionale, musica e balli tipici, prezzi stracciatissimi. Ci siamo fatti prendere un po’ la mano, in 4 abbiamo ordinato per un esercito intero. Nell’arco di 5 minuti sono arrivati:
– Pilaf azero: riso allo zafferano cotto con carne di agnello, frutta secca, cipolla e spezie;
– Kebabi / Shashlik: spiedini di carne (agnello, manzo o pollo) grigliati e serviti con cipolla cruda, melograno e pane lavash.
– Piti: stufato tradizionale di agnello e ceci cotto in un vaso di terracotta, con grasso di coda e spezie. Si serve in due tempi: prima il brodo con pane, poi la carne.
– Qutab: piadina sottile ripiena (di carne, erbe o formaggio) cotta sulla piastra.
Tutto accompagnato dal tradizionale té nero azero.
Non riuscivamo ad alzarci in piedi. Viene a chiamarci la guida, preoccupata perché scomparsi a causa del lauto pranzo durato evidentemente troppo.
Entriamo al tempio. La struttura è un complesso pentagonale del XVII–XVIII secolo costruito sopra sfiati di gas naturale, con un altare centrale per il fuoco. È spesso presentato come zoroastriano, ma le numerose iscrizioni in sanscrito e in gurmukhi indicano che fu soprattutto un luogo di culto per mercanti e pellegrini hindu e sikh; vi passarono anche alcuni zoroastriani.
Abbandonato a fine Ottocento, la fiamma naturale si spense nel 1969 ed oggi arde grazie al gas di rete; il sito è un museo. Ebbene si, fino a 60 anni fa, tutto intorno al tempio centrale vi era una fiamma accesa. Ora, a causa delle continue estrazioni di gas dal sottosuolo, la fiamma naturale si è spenta ed è stata sostituita da una più piccola artificiale posizionata all’interno del tempio.


Pezzo forte alla fine. Si riparte destinazione le montagne di fuoco di Yanar Dag, “montagna che brucia” appunto, non prima di una pausa bagno. Lungo il tragitto, tra una chiacchiera e l’altra, Veronica vuole far vedere le foto a tutti, cerca il cellulare nello zaino….non lo trova. Il panico! “Fa mente locale” dice uno, “Lo avevi al tempio?” dice l’altro, “Sicuramente sta al bagno” dice l’ultima…”si sicuramente è lì, l’ho appoggiato sul lavandino per lavarmi le mani, è lì”. La guida chiama subito il suo contatto al tempio, parlano azero, sicuramente la sta insultando, tanto chi li capisce. Il contatto va al bagno delle donne, il telefono non c’è…l’hanno fatto! La disperazione….”Me lo merito”, “Questo è perché sono troppo distratta”. Scende qualche lacrima, cerca i fazzoletti nelle tasche laterali dello zaino e….eccolo lì il telefono! Risata generale, la guida che richiama il contatto al tempio, sicuramente altri insulti in azero e via verso la destinazione.
Yanar Dag è un pendio sull’altopiano di Absheron, poco fuori Baku, dove fiamme naturali alte fino a 3 m ardono ininterrottamente da una frattura rocciosa alimentata di gas naturale. A differenza dei vulcani di fango, qui non c’è emissione di fango: solo fuoco continuo, visibile al meglio al tramonto. L’area è tutelata come riserva storico-naturale dal 2007. Affasciante, non capita tutti i giorni di vedere una montagna prendere fuoco naturalmente.

Fine della giornata, si torna in hotel, doccia al volo e si esce per cena e per una passeggiata. Il lungo mare è favoloso. A est dominano i nuovi grattacieli tutti illuminati di Baku, a ovest le Flame Tower ne fanno da padrona. 3 torri a forma di fiamma che la notte proiettano inni all’Azerbaijan. Lo spettacolo è dirompente. Difficile togliere gli occhi di dosso. Piante coperte da serre e statue di metallo si alternano sul lungomare di Baku.


2° giorno – Tour della Città
